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La filosofia con i bambini, cammino di formazione continua

Pubblicato il: 12/07/2010 13:02:00 -


La filosofia con i bambini, come pratica per ri-pensare la quotidianità del vivere, per ritrovare la voce della nostra azione di educatori, per infondere nuova linfa nelle parole, per essere artefici di un inizio nuovo. Uno spazio di riflessione forte anche tra insegnanti e genitori sul fare scuola. Un varco che il fare filosofia apre-spalanca. Un altro tempo dove gli adulti prendono a incontrarsi a partire dai bambini. Si tratta di assumere la filosofia non in una logica di mera aggiunzione di “materie”, bensì come metodo, per più alti sguardi conoscitivi e nuove interazioni.
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Occorre ripensare la voce educazione. L’educazione include l’istruzione, la socializzazione, ma non si riduce a istruzione e a socializzazione; è piuttosto stimolo al cambiamento e alla crescita, è un aiuto ad allargare gli orizzonti della vita e a far vedere criticamente sempre più oltre, è facilitazione a cercare punti di arrivo che non siano già dati. La vera educazione è “educazione alla critica”. Promuovere le condizioni perché il già dato diventi problema. Prendere il sacco del già dato e metterselo davanti agli occhi per rovistarci dentro. Non tutte le esperienze sono educative. Per esserlo bisogna riflettere criticamente su di esse, occorre tematizzarle, discriminarle per capire che cosa di esse è veramente importante per la crescita della propria persona nel confronto con le altre.

Occorre tempo.

La riflessione ha bisogno di tempo. Nel Simposio Platone esprime molto bene questo legame tempo-riflessione riportando le ragioni del ritardo di Socrate a casa di Agatone: si era fermato lungo la via a pensare. Oggi il camminare lento non è consentito e tuttavia la riflessione È un camminare lento.

Filosofare con i bambini è avviarli a pensare in profondità, a prendere posizione autonoma e motivata nei confronti delle questioni considerate, è lavoro e confronto con idee e pensieri, è individuare con chiarezza i problemi, delimitare le questioni, stabilire connessioni, creare ipotesi alternative non arbitrarie, ricercare soluzioni.

Elevare all’ordine di un problema ciò che risulta ovvio per il pensiero del senso comune, smontare le impalcature che sorreggono il nostro quotidiano per svelarne i punti di crisi: questo è il tema di lavoro assegnato alla filosofia.

***

Il pastore Gige trovò un anello. Lo infilò al dito, scoprì che ogni volta che girava il castone verso di sé spariva, quando lo girava verso l’esterno ricompariva.

“Che cosa fece Gige a questo punto?”. “Cosa succede se divento invisibile?” Rispondono i bambini.

Se divento invisibile comincio a fare dispetti… potrei anche spaventare/rubare… tanto non mi vedono, dicono i bambini.

Altre questioni emergono.

Camillo: “È pericoloso essere invisibile, potrebbe rompersi la magia e tu resti invisibile per sempre. Non si può vivere senza essere visti dagli altri”.

“Se sei invisibile esci fuori dai legami. Si, perché” dice Antonio “non puoi mantenere le amicizie, stare insieme, confrontarti, litigare, essere d’accordo”.

Vincenzo: “Gige può usare l’anello solo se vive in mezzo ad altre persone, non vale diventare invisibile se si è da soli”.

Umberto: “Gige con il suo anello può diventare un re, prendere tutte le ricchezze degli altri”.

Luca: “Sì, ma Gige lo sa che sta imbrogliando”.

Antonio “Gige resta da solo, senza più amici e non potrà confidare a nessuno il suo segreto”.

***

Le parole sono porte, possono schiavizzarci o ci possono liberare. Ci schiavizzano quando sono parole stereotipate, ripetute, ordini di comando, grida. Fare filosofia con i bambini è anche operazione di salvataggio delle parole, riscatto del senso delle parole e del senso della combinazione arricchente delle parole.

Non parliamo di un’altra disciplina ma di una pratica di insegnamento capace di far nascere entro ciascun bambino coinvolto domande del genere di quelle suggerite da Montaigne: “E io che cosa penso? Cosa dico, che giudizi do? Come agisco?”. E ancora: Cosa significa pensare? Come esprimo ciò che penso? Potrei dirlo anche… Come può una parola significare qualcosa?

Chi sarà chiamato a svolgere il compito di promuovere nei bambini e nei ragazzi “radure” di riflessione e di esercizio critico del pensiero? Un maestro può non conoscere la tecnica per insegnare ai suoi alunni il violino. Ugualmente può non conoscere l’arte della scultura. Promuovere l’esercizio del pensiero nei bambini non può intendersi come “tecnica” in possesso di pochi esperti insegnanti.

Essere maestri vuol dire innanzitutto iniziare con gli alunni un cammino di crescita insieme. Non ci sono insegnanti di serie A (esperti dell’esercizio del pensiero) e insegnanti di serie B (che farebbero scuola non impegnando i bambini nel dialogo e nella riflessione). Esiste piuttosto l’impegno di tutti i docenti attenti all’interrogazione esistenziale del bambino, capaci di lasciarsi ispirare dalla parola del bambino, di vivere insieme ai bambini nuove possibilità. Così dovrebbe essere.

Di seguito riporto alcuni obiettivi per capire che se li eliminiamo come traguardi del fare scuola, eliminiamo la ragione d’essere della scuola stessa:

• Cosa ne è della scuola se non promuove nell’alunno la capacità di dare senso e significato a quello che va imparando? Se non promuove la passione per la ricerca di nuove conoscenze? Se non promuove la capacità di individuare problemi, sollevare domande, mettere in discussione le mappe cognitive già elaborate, trovare piste d’indagine adeguate ai problemi, cercare soluzioni anche originali attraverso un pensiero divergente e creativo? Se non promuove la comprensione dell’importanza della dimensione comunitaria dell’apprendimento?
• Per quanto riguarda la dimensione meta cognitiva: cosa ne è della scuola se non promuove nell’alunno consapevolezza del proprio modo di apprendere? Se non promuove la capacità di riconoscere le difficoltà incontrate e le strategie adottate per superarle? Se non promuove la capacità di prendere atto degli errori commessi, le ragioni di un insuccesso, per conoscere i propri punti di forza?

Una pratica di cui dobbiamo fare esperienza noi tutti: adulti e bambini.

Parlo di un ascolto profondo che non implica seguire delle regole, implica piuttosto aprirsi al mondo della possibilità, cioè del pensiero che diverge e si allontana dai sentieri della consuetudine. Ascoltare è un’arte che si può imparare a esercitare a partire da un cambiamento interiore. Implica l’esercizio dell’attenzione e del “sentire” l’altro al posto di “sentire solo se stesso”.

La filosofia con i bambini come cammino di formazione continua.

Pina Montesarchio

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